Un esserino volava a mezz’aria come un sacchetto trascinato dal vento. La sua pelle era bianchissima, quasi lattiginosa, e contrastava con i capelli corvini, lunghi, lisci e pesanti, che si incollavano alle spalle e alla schiena umida di rugiada. Il vestitino nero, cucito con mille ricami intricati e argentati, sembrava un patchwork di nobili ragnatele, cucito da qualche sartina elfica sotto acido. Lasciava scoperti i piedi nudi, piccoli e perfetti, intirizziti dal freddo. Su quelle estremità bianche come porcellana, e le spalle, lasciate anch’esse nude, la pelle d’oca si abbozzava in minuscoli brividi visibili solo da occhi attenti. Le ali, piccole e fragili ma efficienti sbattevano pigramente, facendola procedere con lentezza. Attorno a lei, la foresta era fitta, altissima, cupa. Gli abeti rossi dominavano, alti e dritti, con tronchi ravvicinati e aghi che oscuravano il cielo. Al loro fianco crescevano faggi scuri, larici contorti, ontani dal tronco gonfio e betulle dal legno c...
Un tacco nero affondò in una pozzanghera, una delle tante, sollevando appena l’acqua stagnante. L’impronta si dissolse subito, inghiottita dal riflesso delle luci che filtravano tra i rami spogli. La gamba nuda avanzava con passo sicuro, slanciata, seguita dalla gemella. La stretta minigonna nera ondeggiava appena, toccata dalla brezza autunnale. La camicia rossa si distendeva e contraeva adeguandosi al movimento del corpo corpo. Il caschetto era perfetto, immobile, scolpito come un blocco di marmo intinto nella vernice nera. La strada si apriva su un viale più grande, illuminato solo a tratti dai lampioni. Di fronte si ergeva Palazzo Barbier. Quasi, i tacchi scivolarono sui larghi gradini umidi per la pioggia recente. Il marmo, un tempo levigato, presentava sottili crepe e leggere irregolarità che trattenevano pozzanghere scure. Ai lati della scalinata, due vasi squadrati ospitavano cespugli rigonfi d’acqua. Il portone, massiccio e imponente, dominava la cima della scalina...