Gli applausi scroscianti del pubblico coprirono il finale della risposta sagace di Delilah. La nostra si trovava in un piccolo studio televisivo, seduta su una comoda poltrona con le gambe accavallate. Lo studio aveva un’estetica piuttosto kitsch. Dal soffitto pendevano candelabri, troppi, che illuminavano la stanza in modo poco omogeneo. Sul fondo, dietro alla poltrona degli ospiti e il bancone in legno del conduttore, dominava un grande pannello che ritraeva la sagoma infiorettata dello skyline di Valquindre, illuminata da un’enorme luna piena. Ai lati pendevano delle oscene tende rosse. Eppure l’insieme aveva un che di soavemente macabro qualche modo funzionava.
«Abbiamo ospite, stasera, l’investigatrice più sexy di Valquindre!» annunciò Florentin Iorgulescu, un uomo ben vestito dalla pelle pallidissima, le orecchie appuntite e i canini particolarmente pronunciati. «Una delle massime esperte in occulto e fenomeni paranormali, ancora un applauso per Delilah Mercier!» E il pubblico applaudì.
Delilah si guardò intorno con un sorriso sornione e si applaudì a sua volta. «Sexy? Di solito i giornali mi descrivono come una pazza psicopatica…»
«Ma no, sei bellissima!» ribatté Florentin, in un sorriso che rivelò per un attimo le sue zanne. «Di che tipo è il tuo sangue?» aggiunse, abbassando la voce in un sussurro che solo lei poté sentire.
«Come, scusa?» chiese Delilah, aggrottando la fronte. Non aveva capito bene, ma era quasi certa le avesse chiesto se le piaceva il mango.
Florentin Iorgulescu era evidentemente un vampiro, ne aveva tutti i crismi, ma non aveva mai fatto coming out. E dato che il politicamente corretto aveva raggiunto anche Valquindre, tutti si comportavano come se non lo fosse.
«Il tuo stile è riconoscibilissimo, ma oggi noto un particolare inconsueto» commentò Florentin, squadrandola con interesse. «Camicia rossa, gonna nera, certo, ma… sandali? Come mai questa eccezione? La bellezza dei tuoi piedi, d’altronde, è leggendaria.» Fece una pausa, poi sussurrò di nuovo, con un luccichio famelico negli occhi: «Zero positivo? A negativo?»
«La vostra costumista, Colette, mi ha detto che il pubblico preferisce così» rispose, sollevando appena un piede e facendolo oscillare pigramente. «Ho dovuto mettere uno smalto inibitore, ideato apposta per me, altrimenti mi saresti già saltato addosso.»
«Lo produce una ditta di Dovermont, la Pavlon. Si può fare pubblicità, vero?» chiese Delilah accarezzandosi la caviglia.
«A dire il vero, no,» ridacchiò Florentin, per poi tornare a fissarla con occhi bramosi. «AB? No...B negativo, scommetto...»
«Allora, Delilah Mercier, come stai?»
«Non c’è male...» Un applauso scrosciante sorprese Delilah, stupita inoltre dalla sincronia con cui le mani del pubblico battevano a tempo.
«Qualche caso bizzarro su cui stai lavorando?» domandò lui con un sorriso allusivo. «Qualcosa che si può raccontare, ovviamente.» aggiunse sfregandosi le mani. «B negativo… il più succulento.»
Delilah alzò gli occhi verso il soffitto, fingendo di pescare nella sua memoria.«Mi è capitato tra le mani il diario di un noto assessore della nostra città...»
«È stato ospite nel programma?»
«Boh» rispose Delilah. «Dice che il diario è maledetto. Da quando gli è stato regalato, gli sono capitate solo sfortune… e ogni volta che prova a liberarsene, quello puntualmente ricompare sul tavolo del suo studio la mattina successiva.»
Florentin annuì lentamente, accarezzando il manico della tazza poggiata sul tavolo. «Mmh… quel collo sottile…»
«Interessante,» disse ad alta voce, schiarendosi la gola. «E che c’è scritto in questo diario?»
«Non granché, a dire il vero. Per la maggior parte delle pagine: "Caro diario, lei non sa chi sono io!"»
Florentin scoppiò a ridere fragorosamente. Il pubblico lo seguì, ma con qualche secondo di curioso ritardo. Era una risata talmente all’unisono che sembra provenire dalla voce profonda e cavernosa di un gigante. Delilah lanciò un’occhiata incerta alla platea.
«Parliamo un po’ di gossip, ti va?» chiese Iorgulescu, sistemandosi il colletto della giacca con un sorriso affilato.
«Assolutamente.»
«Come va la tua vita sentimentale ultimamente? C’è qualcuno di speciale? Siamo tutti curiosi...»
«Ebbene…» Delilah si prese un attimo prima di rispondere. «Siamo in famiglia, non è vero?»
«Ma certo, questo è uno spazio protetto, sentiti libera,» disse Iorgulescu, con una risatina sommessa. «E io mi sentirò libero di succhiare il tuo sangue prelibato da quel candido e sottile collo...»
«Come?» Delilah corrugò la fronte.
«Prego, racconta pure,» disse lui, tossendo leggermente.
«Ebbene,» disse lei, pettinandosi una ciocca di capelli distratta, «mi vedo con Kennedy. John Fitzgerald Kennedy.»
Si sentì un lieve mormorio tra il pubblico. «Oooh…!»
«L’ex presidente degli Stati Uniti?»
«Proprio lui,» confermò Delilah. «Scusa, Jacqueline. Ma non temere, è solo una questione di sesso, John ama te.»
«Ma questo è uno scoop, applauso!» esclamò Iorgulescu.
Gli spettatori applaudirono, ma solo quelli seduti nei posti pari.
«E...»
«Basta, ho detto troppo» lo interruppe Delilah.
Il cameraman fece un primo piano sui suoi piedi, indugiando qualche secondo prima di risalire lungo le gambe fino a inquadrarle il viso. Delilah si chiedeva se la televisione le avrebbe donato. Ma certo, che domande.
«Non hai bevuto nemmeno un goccio ancora...» osservò Iorgulescu, puntando gli occhi sulla tazza di fianco a Delilh. Era nera, con il logo del programma impresso.
«Non ho sete, grazie» fece lei. «Cosa c’è dentro? Il sangue di qualche ospite passato?»
Iorgulescu trasalì, agitandosi in modo goffo. «Sa-sangue? Quale sangue? Chi sanguina? Perché mi parli di sangue?» blaterò. «Sa-sangue… come ti viene in mente...» Diventava molto suscettibile quando si parlava di sangue.
«Non è… non è… dovresti berlo, è molto buono,» insistette, cercando di ricomporsi.
La donna osservò il contenuto bluastro all'interno della tazza con diffidenza.
«Davvero buono,» ripeté Iorgulescu.
Delilah lo interruppe con un cenno della mano. «Senti, mi è stato detto che sei un narratore di barzellette impareggiabile. Vorrei sentirne una!»
Iorgulescu sorrise nervosamente. «Se bevi...»
«Berrò se riderò»
«E allora puoi cominciare ad afferrare la tazza» la sfidò Iorgulescu. «Le mie barzellette sono esilaranti.»
Delilah fece scroccare le dita delle mani. Era tutta orecchi.
Iorgulescu si schiarì la voce. «Cosa dice un fantasma quando entra in un bar?» cominciò, trattenendo a fatica una risata. «Posso avere un boo-rbon, per favore?»
Scoppiò a ridere, e anche il pubblico… ma solo quelli seduti nei posti che erano numeri primi. Iorgulescu lanciò un’occhiata di disapprovazione alla regia, non era affatto soddisfatto di quel pubblico. Delilah, invece rimase impassibile.
«Come si riconosce un fantasma freddoloso? Invece di un lenzuolo indossa una coperta di lana!»
Delilah rimase nuovamente impassibile e smise persino di battere le palpebre. Il pubblico si scompisciò, tranne chi era seduto ai posti 3 e 9 di ogni fila.
«Sei tosta, Delilah,» borbottò Iorgulescu. «Lo sai perché il femore è un pugile formidabile?»
Delilah sospirò. «No, ma ho il sospetto che me lo dirai.»
«Perché è un osso duro!»
Tra il pubblico risero in sei: Joshua, Gringo, Pamela, Oba, Zuberi e Renato.
Gli occhi di Delilah si riempirono di lacrime, il muso si imbronciò in una smorfia capricciosa e poi scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani.
Iorgulescu iniziò a starnazzare istericamente, alternando sguardi truci verso la regia a tentativi di consolare Delilah. «Che succede? Perché piangi?»
«Perché fanno schifo!» protestò lei.
«Forse non le hai capite. Bevi la poz- ehm, la bibita.»
«Sono terribili,» si lamentò Delilah come una bambina offesa.
«Coraggio, bevi che ti passa, vedrai, è un toccasana.»
«E va bene, lo bevo.» Sollevò la tazza e finalmente ne prese un sorso. Tornò seria all’istante, non a causa della bevanda. «Pessime. Davvero pessime» sentenziò, dando fine alla pantomima.
Zuberi, lo spettatore seduto al posto 2 fila 3, la fischiò.
Delilah posò la tazza e guardò il conduttore. La bevanda sapeva d’acqua. Ma non era acqua, perché era blu.
La trasmissione tornò in diretta dopo una breve pausa pubblicitaria.
«Torniamo a noi» disse Iorgulescu. «Si dice che Valquindre non sia più una città sicura, cosa ne pensì?»
Delilah ascoltò la domanda. Aprì la bocca per rispondere, ma non fuoriuscì alcun suono. Si sforzò più che poteva, ma il risultato non fu altro che un debole sibilo. E il diavolo solo sapeva quanto avrebbe voluto parlare, quante ne avrebbe dette su quell’incompetente del sindaco.
La vista iniziò a farsi sfocata, le luci dello studio si fusero in macchie indistinte e i suoni le giungevano ovattati, colpendola come lampi improvvisi: risate, scroscii delle mani, «Un altro applauso per la fantastica Delilah Mercier!»
«E ora, linea allo sponsor...»
Voci sovrapposte, jingle pubblicitari, «Fecogel, il lassativo più potente sul mercato!» annunci insperati, «Aldo Moro... è qui!»
«Il Valquindre Late Show torna domani, una buona serata!»
Poi, il buio.
Quando si ridestò, le luci dello studio l’accecarono.
«Ben svegliata, Delilah,» sussurrò una voce melliflua. Provò ad allungarsi verso gli occhiali da sole, che peraltro, non aveva portato con sé, ma si rese conto che le sue braccia erano legate. E così anche le gambe. Che affronto. «Cosa diavolo significa, Florentin?!»
Si dimenò, ma le corde erano incredibilmente strette.
«Non ti agitare, Delilah,» disse Iorgulescu, mentre avanzava lentamente con aria famelica. I suoi canini sembravano più appuntiti e affilati che mai.
“Succhierò il tuo sangue, bellezza, berrò il tuo delizioso e nutriente nettare fino all’ultima goccia.»
«Stavolta ti ho sentito, bastardo! Togli pure il corsivo.»
«Fa molto bene, sai? Contiene tante proteine, come l’albumina, la globulina, la fibrina...»
Ma a Delilah non interessavano lezioni di chimica.
«Non me ne frega un cazzo delle tue lezioni di chimica» protestò.
«...c’è il ferro nell’emoglobina, minerali, sodio, potassio...clo...clo...»
«Cloruro!» gli suggerì l’aiuto-regista.
Delilah stringeva i pugni, con cui avrebbe tanto voluto colpire Iorgulescu. E anche quell’idiota dell’aiuto-regista. E fletteva e contraeva le dita dei piedi, le uniche parti del corpo che poteva muovere liberamente. Troppo liberamente, pensò. Solo allora si accorse di essere scalza.
«Dove sono le mie scarpe?!» sbraitò «Le ho pagate un occhio della testa!» E pensare che era venuta ospite del programma senza prendere un soldo. Bel ringraziamento!
«Se ne prenderà cura Colette.»
«No, maledetto!»
Iorgulescu si chinò su di lei, le sue mani ossute le afferrarono le spalle con una presa sorprendentemente forte.
Iorgulescu riusciva ora e sentire l’odore della pelle di Delilah, mughetto ed eucalipto.
«Fermati, mostro!» intimò Delilah.
Poi uno schizzo rosso attraversò il suo campo visivo.
Un dolore lancinante.
«AAAH!» gridò.
Sentì i denti di Iorgulescu affondare nella pelle ben idratata del suo collo. Faceva uso di creme ogni sera. Sentì il proprio sangue bruciare, mentre scorreva lungo le vene in direzione dell'esofago del vampiro. Le zanzare quantomeno iniettano un anestetico, pensò Delilah, già delirante.
Che ingenua era stata. Come aveva potuto abbassare così la guardia? Il suo sesto senso le aveva suggerito che Iorgulescu fosse un vampiro; purtroppo aveva smesso di ascoltarlo da tempo, precisamente quando al bivio Afragola-Canosa le aveva indicato una terza via, ovvero il raccordo autostradale contromano.
Le forze cominciavano ad abbandonarla; uno strano formicolio la pervase tutta.
Proprio allora, mentre la coscienza le sfuggiva, un’intuizione sagace e beffarda le balenò in testa, come lo scherzo crudele di uno psichiatra sadico al suo paziente più vulnerabile: gli ultimi ospiti del LateShow erano stati nell’ordine Ettore Majorana, Amelia Earhart e Michael Rockefeller. E ora sarebbe toccato a lei scomparire misteriosamente.
Svenne per la seconda volta.
Il suo cervello, però rimase in moto, mitragliato da un turbinio di luci psichedeliche intermittenti,che seguivano un ritmo che accelerava sempre più. Flash!
Riacquistò consapevolezza del proprio corpo. Si trovava ancora nello studio televisivo,ma sapeva con assoluta certezza che quello non era il mondo reale.
Le luci erano spente, a illuminare l'oscurità ci pensava un focolaio caldo, bollente, al centro della stanza. Il fuoco crepitava in un calore insopportabile, diffondendo ombre tremolanti sulle pareti.
Sentì un contatto: una mano si posò con fermezza sul suo fianco destro, poi un’altra sul sinistro. Mani grandi, vigorose, che la trattenevano con forza.
Era parte di un cerchio di uomini e donne, tutti uniti in un movimento ipnotico e cadenzato. Si muovevano a passi decisi e sincronizzati, formando una catena vivente che avanzava e arretrava con un ritmo incalzante. I piedi nudi scivolavano sul pavimento, sollevando leggere volute di polvere che si disperdevano nell’aria.
Delilah si lasciò trasportare dalla danza. Le mani si stringevano più forte attorno alla sua vita, e il cerchio si allargava e si restringeva a intervalli precisi. Le voci del cerchio intonavano un canto basso e gutturale. Riconobbe alcuni volti: Zuberi, l’uomo che l’aveva fischiata poco prima, nero, calvo, con grandi orecchie a sventola; Renato, basso e tarchiato, capelli ricci dal taglio fuori moda, baffi folti e tratti somatici lombrosamente stupidi; Pamela, tratti spigolosi e affilati, zigomi pronunciati e labbra sottili, una leggera paresi facciale; il tizio seduto di fianco a Zuberi, spalle larghe e petto imponente, orecchino troppo pesante per il lobo ormai cadente; Colette, la costumista, statura bassa, fondoschiena abbondante, molti nei da troppa esposizione al sole.
Il cerchio girava più veloce, il ritmo della Hora cresceva, le mani stringevano con più forza, i piedi battevano con maggiore impeto. Delilah non lo seguiva più per imitazione, ma per assimilazione. Il focolaio era il centro gravitazionale della danza, un sole che l’attirava inesorabilmente a sé. Danza Delilah, danza! Piede destro, sinistro, movimento di bacino, un paso adelante, giro, izquierda, derecha…
«Delizioso questo sangue, delizioso...»
La fiamma bruciava, l’aria si incendiava. Il sudore le scivolava lungo la schiena, e le impregnava i capelli e i vestiti. Il fuoco si rifletteva nei suoi occhi, e i quelli degli altri danzatori. Occhi spalancati, febbrili, eccessivamente concentrati.
«Note decise, un retrogusto... di agrumi...»
I piedi di Delilah scivolavano leggiadri accarezzando il pavimento ruvido e bollente dello studio. Danzavano nudi, suadenti, insensibili al dolore, mentre le unghie delle dita affusolate dipinte di rosso brillavano sotto la luce del fuoco. I talloni si sollevavano e cadevano con eleganza, anneriti dalla polvere del pavimento, lucidato solo di tanto in tanto.
«Caldo... inebriante... oh, quanto ne hai, Delilah! quanto ne hai! Ne voglio ancora… sempre più… coff! coff! ancora...glu..glu...»
Il bacino di Delilah ondeggiava, sedotto dalla mano seducente di… «Chi ha tossito?» esclamò d’un tratto.
«Cosa sto ballando?!»
La danza si faceva sempre meno aggraziata, ma mano che riprendeva coscienza di sé. I piedi iniziarono a inciampare, le anche a urtare distrattamente i fianchi vicini. «Iorgulescu, tu sia maledetto!»
«Favoloso...sì...oh?...»
I movimenti di Delilah divennero più meccanici, nuovamente precisi, sincronizzati, sì, ma a un tempo diverso da quello del cerchio.
«Lasciatemi!» gridò Delilah, scacciando faticosamente le braccia che la stavano avvolgendo. Finalmente libera si abbandonò ai propri istinti. Le mani disegnavano geometrie nell’aria, le dita vorticavano, un braccio passava attorno alla testa e l’altro subito lo seguiva.
«Sluurp... Sangue!? Sei finito? Non è possibile...Ho sete!...Sete!»
Delilah ondeggiava dentro al cerchio come un androide gonfiato ad aria. Una sinfonia robotica vibrava nelle sue orecchie, una pulsione fatta di stelle lontane colonizzate da forme di vita impensabili, conflitti galattici e tecnologie che sfidavano il divino.
Era la Tecktonik il suo ballo! Il ballo del futuro, un domani chissà quanto prossimo, conosciuto in un’antica visione.
Il cerchio sembrava non badarci; accettava i disertori.
Delilah si risvegliò, schiaffeggiata dal fiato fetido di Iorgulescu, che ancora era avvinghiato al suo collo come un ghepardo geloso della gazzella appena cacciata. «Nən dəveesti essərə vəgələ!» bofonchiò Iorgulescu, ormai in balia degli eventi, senza più nemmeno un accenno di lucidità, come un mammifero interrotto durante l’amplesso. «Fottiti, stronzo!» ringhiò Delilah, rinvigorita dal potere della Tecktonik. Fortunatamente non era più legata. Raccolse ogni goccia di energia in corpo e sferrò un calcio ben assestato dritto nei testicoli di Iorgulescu. Era quello il punto debole dei vampiri. Aglio, acque benedette, pali di legno... tutte dicerie. Il contatto del piede nudo coi genitali innescò nel vampiro un’erezione subito abortita. Iorgulescu cascò all’indietro e cominciò a rotolarsi dolorante come un attaccante alla ricerca di un rigore. «Sete!» Delilah balzò all’impiedi e gli rifilò un altro calcio. «Ahi!» Decise di non inferire, amava il suo programma. Sgattaiolò fuori dallo studio ormai deserto: il pubblico era intrappolato in chissà quale realtà parallela. Si trascinò per la strada, debole, dissanguata, ormai orfana degli effetti magici della Tecktonik. I suoi piedi nudi calpestavano i marciapiedi bagnati, aveva piovuto a lungo quel giorno. Aspetta...ma… «Maledizione, le mie scarpe!» gridò, spaventando i passanti. Invertì la marcia. «Iorgulescu, ti conviene sapere dove la tua costumista le ha cacciate...» mormorò minacciosa. Disgraziatamente, essere riposavano già nella cabina armadio di Colette.
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