In una delle tante stanze di una decadente villa vittoriana la luce del giorno penetrava a fatica attraverso le pesanti tende, diffondendo una luce tenue su oggetti e mobili dallo stile di un'epoca passata. Delilah Mercier si trovava immersa in un'attività ludica, sebbene l’espressione del suo viso suggerisse altro. Era profondamente concentrata nel montare un puzzle 3D che, una volta completato, avrebbe preso la forma di una Suzuki Jimny, una vettura appartenente a un futuro chissà quanto lontano. Tuttavia, al momento, l'insieme di componenti sparsi sul tavolo assomigliava più a un caos colorato che a un veicolo.
Di fianco a lei, fluttuando con la consueta grazia, Morgana le porgeva i pezzi. Delilah esaminava un pezzo dopo l’altro sotto ogni angolazione e poi, con un sospiro di frustrazione, lo rimetteva giù, realizzando che non era quello giusto, non prima di aver provato a inserirlo in una posizione che palesemente non era la sua. Poi, nervosamente, lo lanciava addosso alla sua assistente.
Malediceva il momento in cui comprare quel puzzle da dieci mila pezzi le era sembrata una buona idea. Si trovava al mercatino delle pulci, quando tra bancarelle piene di oggetti antichi e dimenticati, vide la scatola con ritratta l’immagine della macchina. L’acquisto era stato una decisione istintiva, un impulso scatenato dalla nostalgia per le giornate trascorse a risolvere enigmi simili da bambina, ma soprattutto dalla sua passione per la Suzuki Jimny. Chi poteva resistere a quelle buffe forme tondeggianti? Certamente non lei.
All’ennesimo tentativo fallito lo stress era divenuto insopportabile. Dopo poco meno di dure ore l’unica parte riconoscibile era il paraurti posteriore, con un accenno di ruota di scorta.
Accese la sua pipa, con il fumo dolce e aromatico che si diffuse nello studio, avvolgendo l'aria con la sua fragranza rilassante. La pipa di Delilah Mercier era un oggetto affascinante e consumato dal tempo. Era realizzata in radica di legno, con una testa liscia e una canna sottile leggermente curva. Piccole incisioni adornavano delicatamente la canna, aggiungendo un tocco di eleganza.
Aveva una forma curva, come se avesse preso la forma delle dita che l'avevano afferrata tante volte nel corso degli anni.
Delilah chiuse gli occhi per un momento, lasciandosi cullare dal piacere del fumo, che sembrava alleviare il peso della frustrazione accumulata. Le sue guance si rilassarono mentre aspirava delicatamente e le sue dita percorrevano automaticamente le incisioni sulla canna della pipa, seguendo i solchi familiari come fossero un vecchio percorso conosciuto a memoria.
Un colpo di tosse improvviso e stranamente distante la riportò bruscamente alla realtà. Il suono era fuori posto, un'intrusione dissonante nella quiete della stanza. Con un movimento repentino, si voltò verso Morgana, ma l'espressione della sua assistente non mostrava alcun segno di responsabilità per quel rumore.
Poi, lentamente, Delilah sentì la presenza di qualcun altro. Alzò lo sguardo e il suo respiro si fermò. Davanti a lei, sul limitare dell'ombra che si stendeva lungo un angolo della stanza, c'era una figura. Era un uomo, vestito con abiti che ricordavano quelli del diciassettesimo secolo: un giubbotto di velluto, una camicia con un colletto elaborato e calzoni che terminavano appena sotto il ginocchio. Nonostante il suo aspetto fosse solido, c'era qualcosa di etereo in lui, come se fosse composto più di memorie e di tempo che di carne e ossa.
Per un breve momento, i loro sguardi si incrociarono. Gli occhi del fantasma sembravano cercare qualcosa in Delilah, una sorta di riconoscimento o forse un'interazione. Ma Delilah, dopo un attimo di contemplazione, semplicemente distolse lo sguardo. Senza una parola, senza un gesto di sorpresa o di curiosità, tornò a concentrarsi sul puzzle davanti a lei.
Il fantasma rimase immobile per qualche istante, come se fosse confuso o forse deluso dalla mancanza di attenzione.
"Sono Lord Edward Blackwood," disse con un tono che portava echi di un'era passata, "il vecchioproprietario di questa casa."
"Ah, ah..." rispose con nonchalant Delilah, senza distogliere lo sguardo dal puzzle. Le sue dita continuavano a lavorare sul puzzle, cercando invano di incastrare un pezzo ostinato. Era così assorta che non si accorse di stare tentando di posizionare una marmitta al posto di un tergicristallo.
Morgana iniziò a tirarle dolcemente la camicia, cercando di attirare la sua attenzione sull'errore. Delilah corresse il pezzo, lanciando quello sbagliato contro Morgana con un gesto di stizza.
Lord Blackwood non era abituato a essere messo in secondo piano, soprattutto nella sua ex dimora. Tossì di nuovo, più deciso, cercando di attirare l'attenzione su di sé. "Ripeto, sono Lord Edward Blackwood, questo era il mio focolare," disse, sottolineando le parole con un tono di voce che sperava potesse finalmente catturare l'interesse di Delilah.
Non catturò alcun interesse. La sfida di completare l'enigmatica costruzione sembrava assorbire tutta l’ attenzione della donna, relegando la presenza del nobile spettro a un mero sfondo nella sua mente.
D’altronde sapeva che quel fantasma non poteva essere un suo antenato; la casa era appartenuta alla sua famiglia da generazioni, e quel Lord Blackwood doveva evidentemente essere un ciarlatano.
Il fantasma sbuffò, quindi afferrò una pentola dalla credenza e la gettò a terra, producendo un fragore assordante. Delilah non fece una piega.
Il fantasma, tuttavia, non demordeva. Con un misto di rabbia e disperazione, afferrò un'altra pentola, poi un'altra ancora, scagliandole a terra in un crescendo di clangori metallici.
L’occhio sinistro di Delilah iniziò a palpitare. Era un segno di cedimento.
Proprio mentre Lord Blackwood sollevava la quarta pentola, Delilah raggiunse il limite della sua pazienza. Il tic nell'occhio sinistro era ormai diventato un palpito veloce, un segno tangibile della sua crescente irritazione. Con un movimento brusco e pieno di rabbia, lanciò in aria il puzzle su cui aveva lavorato per ore. I pezzi volarono in tutte le direzioni, cadendo a terra con un suono caotico che riecheggiò nella stanza.
Si alzò in piedi, il viso arrossato dalla rabbia. "Basta!" urlò, rivolgendo a Lord Blackwood uno sguardo infuocato. "Sei nella casa sbagliata, spettro! Questa è la mia casa, è sempre stata della mia famiglia, e tu non sei altro che un intruso rompicoglioni!"
Il fantasma, preso alla sprovvista dall'improvviso scoppio di ira di Delilah, sembrò rendersi conto del suo errore. La sua espressione passò da quella di un'entità sicura di sé a quella di uno sconfitto e confuso. Per un attimo rimase sospeso, come se stesse cercando di assimilare l'informazione appena ricevuta.
Poi, con un'espressione di imbarazzo che sembrava quasi fuori luogo sul volto di un fantasma, Lord Blackwood iniziò a svanire. "Oh... Mi... Mi scuso," balbettò, la sua voce svanente che si perdeva nell'aria. In pochi istanti, la sua figura divenne sempre più trasparente fino a sparire del tutto, lasciando la stanza in un silenzio improvviso.
Delilah Mercier, seduta sul pavimento, osservò i pezzi del puzzle della sua adorata Suzuki Jimny spararsi in tutte le direzioni. Una lacrima solitaria scivolò lungo la sua guancia mentre contemplava il caos colorato che si era creato. "Agatha Kednapp potrebbe senz'altro aiutarmi a ricomporlo" disse a voce alta. Morgana, la sua assistente, scosse la testa in segno di disapprovazione. E Delilah si ricordò che Agatha Kednapp, conosciuta come la Strega del Lago, era un essere diabolico che aveva provato a ucciderla almeno tre volte.
Sconsolata, Delilah si diresse verso il bagno e si concesse una doccia. Fredda, di due ore e mezza.

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